Airbnb, Booking & C: la Festa è Finita?
4 min readNel mirino del governo le organizzazioni di home sharing
Author: Annamaria Cardinali
Lo scorso mese di giugno, un signore di Torino è partito alla volta di Caserta, con l’intento di visitare la zona. Essendo un assiduo lettore di questo blog, di ritorno ci ha scritto una email.
Oltre a raccontare della Reggia, dei bar antichi e delle boutique del centro – nonché, purtroppo, del degrado delle strade, come martoriate da mille bombardamenti – ci ha tenuto a parlare del luogo dove ha soggiornato, con una dovizia di particolari che non poteva lasciarci indifferente.
È rimasto gradevolmente colpito dall’accoglienza della sua ospite, una signora raffinata e curiosa che lo ha sommerso di domande, elegante come la casa che abitava. Questa persona, infatti, ha scelto di soggiornare in quella che oggi verrebbe definita una “guest house”, dove gli ospiti condividono alcuni spazi comuni (come la cucina, il salotto, il terrazzo) con poche altre persone, tra cui gli stessi proprietari.
L’idea di affittare la propria abitazione o una parte di essa è ormai cosa diffusa: piattaforme online come Airbnb, Booking, Homeaway ecc. hanno contribuito a propagare la cultura della home sharing, in un momento storico in cui i tentativi di ripresa dalla crisi economica fanno leva, molto spesso, sul modello della condivisione. Non solo stanze e appartamenti, ma anche auto, bici, caravan, barche, addirittura jet privati.
Alla base della sharing economy, convenienza e tecnologia: il privato mette a disposizione qualcosa che possiede, con un investimento iniziale minimo, tentando di intercettare i bisogni del suo pubblico; attraverso le piattaforme online più in voga, la sua offerta diventa visibile a tutti, in qualsiasi parte del mondo; conformemente alle proprie personali necessità, l’acquirente sceglie di prenotare il servizio che preferisce, trovando autonomamente l’offerta più conveniente; una volta usufruito del servizio, l’acquirente lascerà un feedback che aiuterà gli altri utenti ad orientarsi tra le migliaia di offerte disponibili online.
La signora di Caserta possedeva un negozio di tappeti persiani che è stata costretta a chiudere. Per ovviare al momento di difficoltà economica, ha deciso di mettere in affitto due stanze della propria abitazione, proprio di fronte ai giardini della Reggia, in una posizione perfetta per chiunque voglia visitarla. A differenza degli hotel e di altri b&b in zona, l’offerta della signora appare vantaggiosa e molto apprezzata: le recensioni degli ospiti sono quasi tutte positive e il rapporto qualità-prezzo risulta essere molto buono. Servendosi di Booking come canale di diffusione, le stanze della signora fanno spesso il “tutto esaurito”, rendendo alla proprietaria un gruzzoletto niente male.
L’esempio della signora di Caserta somiglia a centinaia di migliaia di casi analoghi. In un articolo di pochi giorni fa de La Repubblica di Bologna, il direttore di Confesercenti Emilia Romagna segnala il boom del fenomeno Airbnb (solo su questa piattaforma le offerte sono in crescita del 149% rispetto allo scorso anno) con più di 1500 annunci solo per la zona del capoluogo regionale. Il direttore ha ragione: già altri hanno detto che questa è “l’estate del boom delle case-vacanza”.
Ma come la cultura della sharing economy, anche lo scontento tra gli albergatori “classici” sta generando un’eco gigantesca.
Lo stesso direttore di Confesercenti, al pari dei portavoce di Federalberghi e Confcommercio, ha definito “fuori controllo” il fenomeno del sommerso di Airbnb, lamentando una mancata equiparazione delle norme tra le vecchie e le nuove modalità ricettive e denunciando, in maniera esplicita, una situazione di marcata concorrenza sleale.
Per far fronte al problema, il governo italiano ha introdotto una cedolare secca sugli affitti brevi (quelli che durano meno di 30 giorni), il cui termine per il pagamento scadeva lo scorso 17 luglio. L’obbligo di versamento di tale cedolare – pari al 21% del ricavato mensile – spetterebbe agli intermediari immobiliari, cioè alle piattaforme online quali Airbnb, Homeaway e Booking.
Pare che solo pochi tra questi abbiano provveduto a versare la somma dovuta all’Agenzia delle Entrate entro i termini stabiliti. Tra i “disertori” più noti, c’è proprio Airbnb: per giustificare l’inadempienza, il colosso californiano ha fatto notare come i tempi per adeguarsi alle nuove norme fossero troppo brevi per riuscire a mettersi in regola.
Ad ogni modo, la norma è in vigore, e non osservarla significa andare incontro a sanzioni. Come si comporteranno ora queste piattaforme virtuali con i propri utenti?
Al momento, le commissioni che albergatori e host devono al proprio intermediario di riferimento restano invariate: per Airbnb, la percentuale di commissione corrisponde al 3% del ricavato da ogni prenotazione, mentre per Booking la cifra varia dal 15 al 20%.
Sebbene Booking offra agli annunci una visibilità di portata maggiore, gli host di Airbnb possono contare su una maggiore semplicità di pagamento (la commissione viene decurtata direttamente dall’importo dovuto all’host nel momento della prenotazione, mentre con Booking il pagamento della commissione va espletato in un secondo momento).
Inoltre, con Airbnb, gli host possono contare su una protezione assicurativa utile in caso di danni alla proprietà o alla persona. A questo proposito, Booking propone invece ai suoi host di richiedere un deposito cauzionale al momento della prenotazione.
Insomma, a prescindere dagli obblighi fiscali a cui le piattaforme online saranno sottoposte e, considerata la popolarità da esse raggiunta, scegliere di affittare beni mobili e immobili servendosi dell’invenzione più grande dei nostri tempi – internet – costituisce, a giudizio di molti, un business a tutti gli effetti.
Per approfondire:
– Wimdu
Ti è mai capitato di affittare una camera presso una di queste organizzazioni? Ritieni sia meglio o peggio rispetto al tradizionale Hotel? Come ti sei trovato/a?
Commenta qui sotto